Vulcanismo extraterrestre

Sin dalle prime missioni spaziali lunari si è riscontrata la presenza di rocce vulcaniche e di strutture coniche del tutto simili ai vulcani terrestri. 

Tendenzialmente si può dire che, in modo specifico per la Terra, un vulcano attivo significa che il pianeta “sta bene”, innanzitutto perché non si sta raffreddando; i vulcani sono  infatti i regolatori di vita nel pianeta su cui sorgono: hanno un effetto sul clima, rendono fertile il terreno e ovviamente uccidono, ma non è colpa loro. L’eruzione di un vulcano, sulla Terra, è allo stesso tempo affascinante e terribile: ma come può apparire tale evento in un contesto extraterrestre?

Foto vincitrice del premio Travel Photographer of the Year 2017 di National Geographic, scattata dal fotografo messicano Sergio Tapiro.

Venere, definito come gemello della Terra per le  sue dimensioni e la sua massa, presenta un’attività vulcanica abbastanza elevata. Basti pensare che si contano poco meno di quaranta vulcani attivi ancora oggi e circa 500 inattivi, numeri interessanti per un pianeta considerato spento fino a pochi anni fa;  mentre sulla superficie terrestre il 91% dei vulcani è sottomarino, e per quanto riguarda quelli su terre emerse ne sono attivi 1500. I vulcani venerei non si presentano con la classica struttura a vulcano che conosciamo, ma sembrano piuttosto delle specie di corone, “ciambelle” o più precisamente caldere, del tutto simile a quelle delle isole Hawaii che, alimentate dal vulcano Kilauea (autore di una longeva eruzione iniziata nel 1983 e finita nel 2018), sono il corrispettivo dei punti caldi dal quale fuoriesce, o meglio fuoriusciva, il magma che ha dato vita alle strutture terrestri. Che scenario ci aspettiamo durante un’eruzione su Venere? La NASA ci aiuta e negli anni ha pubblicato alcune ricostruzioni di un evento vulcanico che ricorda alla lontana il drammatico paesaggio di Mustafar, pianeta che compare nel terzo film della seconda trilogia di Star Wars.

Per quanto riguarda Marte, invece, si osserva una schiera di vulcani a scudo (per intenderci, visti di profilo assomigliano ad un scudo: sono generati da colate laviche fluide e sono i più grandi e possenti presenti sulla Terra), in mezzo ai quali  spicca il Monte Olimpo, il rilievo più elevato del sistema solare con un diametro di 610 km (simile alla estensione dell’intera Francia) e di 25 km di altezza rispetto al rilievo topografico. L’attività vulcanica su Marte è pressoché cessata milioni di anni fa. La missione Viking del 1976-1979 ha permesso di studiare i resti delle attività di questi vulcani: oggi sappiamo che sul pianeta rosso vi era un’elevata presenza di eruzioni vulcaniche fangose. Lo si è capito dalla presenza di lunghi canali naturali, dove l’acqua che filtrava all’interno della crosta fuoriusciva poi sotto forma di un fango composto da materiale piroclastico e acqua (sono presenti molte tracce lasciate dall’acqua sul terreno marziano, sia di acqua liquida che di ghiacciai: da questo prospetto del Monte Olimpo si vedono chiaramente i segni lasciati da ghiaccio e acqua). Questo prodotto vulcanico è presente anche sul nostro pianeta, ed è chiamato lahar (“lava” in lingua giavanese): sono devastanti fiumi di fango che possono viaggiare anche a 80 km/h (dipende dalla viscosità del liquido) e raggiungono temperature superiori a 70°C. Tuttavia, per quanto mi riguarda rimangono molto più affascinanti le esplosioni di lava.

Il nostro satellite naturale ha cessato di “vulcanizzare” cento milioni di anni fa, in modo graduale, e gli ultimi testimoni delle eruzioni lunari sono stati i dinosauri, che con il loro gigantesco naso all’insù vedevano macchie rosse dove noi le vediamo nere. Sul mantello lunare sono presenti delle macchie irregolari, che ci indicano i punti in cui il magma si concentrava e dava vita a piccole eruzioni che produssero queste singolari formazioni esogeologiche. Quelle della Luna sono state prevalentemente  attività vulcaniche esplosive.  

Arriviamo ad una delle lune più interessanti di Giove, Io: si tratta di un satellite poco più grande della Luna, il più interno dei 4 galileiani di Giove. I vulcani scoperti sulla sua superficie grazie alle fotografie delle sonde Pioneer 10 e 11, Voyager 1 e 2, Galileo, New Horizon, e Juno (in orbita intorno a Giove dal 4 luglio 2016) hanno permesso di ampliare la nostra conoscenza di Io e in generale del sistema gioviano. Oltre ad  avere ottenuto una mappatura completa dei vulcani attivi, siamo riusciti a distinguere quattro strutture geologiche presenti: tholi, paterae, flussi di lava e centri eruttivi . I primi sono rilievi di forma conica: uno dei più rilevanti ha un diametro di 200 km. I secondi sono assimilabili alle caldere incontrate in precedenza su Venere, ovvero depressioni riempite di lava: ne sono  stati contati ben 144. I flussi di lava sono certamente i più spettacolari, veri e propri fiumi di lava che percorrono la superficie del satellite. Infine, i centri eruttivi sono generati da fratture della crosta e, tanto perché non bastava, i materiali espulsi s’innalzano fino a 300 km di altezza per poi formare scenografiche chiazze di colori diversi. Se esiste l’inferno sappiamo dove trovarlo. 

È peculiare capire come si formano queste attività infernali. Concorrono molteplici fattori: iniziamo dicendo che la posizione di Io non è tra le migliori, visto che da un lato c’è Giove la cui fortissima attrazione rende l’orbita delle sue lune perfettamente circolare e  dall’altro lato ci sono le altre due lune più esterne, Europa e Ganimede, che a loro volta attirano Io verso di loro per mantenere l’eccentricità. Aggiungiamo a questo la periodica sovrapposizione orbitale, ovvero il fatto che nel tempo in cui Ganimede compie una rotazione intorno a Giove Europa ne compie 2 e Io ne compie 4. Questo comporta che periodicamente i satelliti si incontrano, e quindi Io, vaso di coccio tra vasi di ferro, è sottoposto a forze di marea importanti che ne comprimono e deformano senza sosta la litosfera. Non è finita qui: tutto ciò genera un’enorme quantità di calore e un vero e proprio mare di lava sotto il mantello che, toccando i 1200 gradi nei punti di maggiore stress, crea l’attività vulcanica.  

Visto con gli occhi della sonda Juno, Io sembra una piccola sfera cosparsa di macchie rosse, dove ogni macchia luminosa segnala il calore emesso da un’attività vulcanica. Giorno e notte su Io sono  quindi scanditi da un infernale susseguirsi di eruzioni.

Insomma, attenti a dove atterrate.


Questo contenuto è apparso precedentemente sulla newsletter di Starcrash

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