Ida Noddack ipotizzó la reazione di fissione dei nuclei pesanti nel 1934 e Lise Meitner nel 1939 riconobbe e interpretó correttamente le prime fissioni dell’uranio prodotte da E.Fermi.
11 marzo 2011, sono passati dieci anni dalla scossa di terremoto – e dal conseguente maremoto – che ha devastato il nordest del Giappone, in particolare la prefettura di Fukushima, causando circa ventimila vittime e più di centomila sfollati. In qualche modo, per la comunicazione generalista italiana il disastro causato dal sisma è come se si fosse fuso con l’incidente della centrale nucleare di Dai-ichi, portando ad una sostanziale identificazione di significato tra i diversi eventi.
Questa confusione di rapporti di causa-effetto – per cui il lettore potrebbe essere portato a pensare che le vittime siano state causate proprio da quanto avvenuto nei reattori nucleari – affonda le radici nel terreno abbondantemente concimato dal letame parascientifico che viene sparso da anni quando si discute dell’energia atomica. L’approccio scatologico al tema viene portato avanti senza porsi troppe domande da chi – spesso sincero intellettuale democratico impegnato ambientalista – decide di adagiarsi sui comodi cuscini della lotta contro l’altro, il diverso, l’ignoto. È questo infatti il destino del mistero della produzione di energia atomica: etichettato come pratica stregonesca contro il pianeta, diventa argomento tabù e lo si condanna alla gogna, senza dimenticare il pubblico ludibrio per chi ne parli in maniera non critica o ancora peggio favorevole.
Come tutte le tecnologie, anche per la produzione di energia atomica c’è bisogno di studiare per comprenderne i rischi e le potenzialità, tanto a livello dell’individuo quanto a quello di società. In un mondo complesso c’è bisogno di avere dubbi, mettersi in discussione ed allenarsi al pensiero critico. Se crediamo che la società possa avere ancora un ruolo e non vogliamo abbandonare il futuro energetico alla mercé degli interessi del capitale allora c’è bisogno di lasciare un attimo da parte il pensiero magico, armarsi di coraggio e guardare dentro al telescopio. La scienza e la tecnologia non sono alternative alla società ma strumenti per creare una società alternativa.
Il disastro in cifre
Quello di Fukushima è stato il secondo incidente più grave collegato ad una centrale nucleare. Anche grazie alle migliori misure di sicurezza, i danni alla salute dei lavoratori e della popolazione furono molto inferiori: due operatori della centrale morirono il giorno del terremoto (non a causa delle radiazioni), mentre 35 tra operatori, soccorritori e pompieri persero la vita a causa dell’incidente di Chernobyl nel 1986 (pag. 78). Nel 2012 una previsione dell’impatto sulla salute della popolazione ha stimato fino a 130 vittime di tumori collegati delle radiazioni emesse a Fukushima, mentre per l’incidente ucraino sono state previste fino a 4000 vittime (di cui un centinaio accertate). Il numero di tumori provocati nella popolazione è però molto difficile da misurare empiricamente; l’ONU infatti non ha rilevato alcuna variazione significativa dell’incidenza dei tumori riconducibile all’incidente. Tramite una campagna di screening di trecentomila bambini e adolescenti esposti alla radioattività di Fukushima sono stati diagnosticati circa 200 tumori alla tiroide; secondo l’ONU questo valore è compatibile con quello misurabile nel resto della popolazione. La maggior parte delle vittime dell’incidente non sono dovute direttamente alla radioattività, le operazioni di evacuazione di 150 mila persone nei giorni successivi al maremoto hanno causato infatti la morte di circa 600 persone.
La dose di radiazioni è la quantitá di danno biologico provocato dalle radiazioni assorbite da un kg di umano, la sua unitá di misura sono i Sievert (Sv). Fino ad ora è stato possibile misurare un incremento della probabilitá di sviluppare tumori solo per dosi superiori a 100 mSv/anno. Nelle zone più contaminate dal fallout sono state registrati livelli di dose di radiazioni pari a 12-25 mSv/anno (pag. 8). Questi livelli sono simili alle dosi di sicurezza a cui possono essere esposti i lavoratori del settore radiologico e circa 2-4 volte maggiori della radioattivitá naturale in piazza San Pietro (7 mSv/anno) o 10 volte la radioattivitá naturale media a livello mondiale. Oggi quindi sappiamo che se non si fosse evacuata la popolazione, gli abitanti piú colpiti avrebbero ricevuto nel primo anno una dose aggiuntiva pari a circa due o tre TAC al torace (7 mSv).
Questo contenuto è apparso precedentemente sulla newsletter di Starcrash
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