Accelerare fino allo schianto

Copertina del Voyager Golden Record, collocato su entrambe le sonde del programma Voyager, con le indicazioni per raggiungere il Sistema Solare. Cosa mai potrà andare storto?

Il paradosso di Fermi è uno di quegli argomenti che ciclicamente tornano alla ribalta sui media mainstream perché offre la ghiotta opportunità di affrontare un argomento apparentemente spinoso – quello della vita extraterrestre – senza sembrare alla disperata ricerca di click facili.

Partiamo con una doverosa premessa, fondamentale punto di partenza per questa nostra furiosa accelerata verso le conseguenze più estreme della civilizzazione intergalattica. «Where is everybody?» La domanda che Fermi si pose nel 1950 può apparire quanto mai banale ma spalanca le porte alle elucubrazioni più sfrontate e alle teorie più radicali: se davvero l’Universo offre così tante opportunità di vita perché allora continuiamo ad essere soli nella nostra galassia? Dove sono (finiti) tutti quanti? Perché non abbiamo mai captato alcun segnale di vita aliena?

Di certo non ci aggiungeremo alla lunga lista di pretendenti risolutori del paradosso, c’è già chi ci prova da oltre 70 anni, giungendo anche a conclusioni alquanto affascinanti. Ciò che proveremo a fare è invece accelerare fino alla fine, esplorando scenari tecnologicamente avanzati, giungendo alle estreme conseguenze. 

Non possiamo che partire da un topos classico della fantascienza: la distruzione della civiltà proprio a causa del proprio sviluppo tecnologico. Dai grandi classici Urania in poi, è un tema che ritorna, portandoci in dote ogni volta una causa nuova. Che siano inverni nucleari, cambiamenti climatici o rivolte delle macchine, il risultato è sempre lo stesso. 

Planando verso ambiti più accademici, è interessante scoprire come esista un’equazione che tenti di stimare il numero di civiltà extraterrestri esistenti in grado di comunicare nella nostra galassia, avendo tra i vari parametri anche la durata media delle civiltà tecnologicamente evolute: 100.000 anni.

Da queste stime, possiamo sperare di godercela ancora un po’, soprattutto perché la fine di una civiltà, o meglio, la perdita per una civiltà della capacità di comunicare con intelligenze extraterrestri può dipendere anche da ragioni naturali o culturali. Chi sicuramente non ha dubbi in merito (ed è difficile sorprendersene, vista la sua tragica storia personale) però è Theodore John Kaczynski: nel suo “Rivoluzione Antitecnologica” (2021, Ortica editrice) –  testo che prova a dare un contesto operativo entro cui considerare il suo famigerato manifesto –  teorizza un processo comune a tutte le civiltà tecnologicamente avanzate che le porta costantemente e inesorabilmente all’autodistruzione. L’origine di questo processo è nel cuore stesso di ogni società, nell’incessante lotta per il potere a breve termine, mostrando scarso interesse per la propria sopravvivenza sul lungo periodo. Proliferazione degli armamenti nucleari, emissioni di CO2 fuori controllo, sfruttamento scellerato di ogni risorsa: tutti elementi replicabili e scalabili in qualsiasi angolo dell’Universo. 

Di più recente concezione, e sicuramente più affascinante ai nostri occhi, appare invece la cosiddetta teoria della “Foresta Oscura”, un’idea nata e brillantemente illustrata tra le pagine de “La materia del cosmo” (2018, Mondatori), sequel de “Il problema dei tre corpi” con cui Liu Cixin si è aggiudicato il Premio Hugo per il miglior romanzo, venendo candidato anche al Premio Nebula. 

Proviamo ad evitare spoiler: la trama è molto articolata ma possiamo anticiparvi che l’intera trilogia è basata sul contatto e il rapporto con intelligenze extraterrestri. L’intrigante riflessione dell’autore cinese poggia su due fondamentali premesse: 1) ogni civiltà non può che perseguire la propria sopravvivenza 2) ogni civiltà tende alla propria espansione, pur nella finitezza di risorse dell’Universo. Questi due assiomi si applicano per ogni civiltà, la conseguenza non può che essere uno stato di potenziale conflitto permanente, ovunque e contro chiunque possa sottrarci risorse.

Nascondersi, evitare ogni contatto pur di sopravvivere. Mal che vada attaccare per primi, saccheggiare tutte le risorse e infine annientare ogni possibile competitor nella lotta alla sopravvivenza intergalattica. Ecco la risposta al paradosso di Fermi: non captiamo alcun segnale di altre civiltà perché loro, più furbe di noi, provano a nascondersi. L’Universo si trasforma quindi in un’immensa Foresta Oscura, in cui il ricercato isolamento è la sola strategia utile a perseguire la propria sopravvivenza. E nel frattempo assemblare un arsenale funzionale all’altrui annientamento (c’è chi continua ad addestrarsi per l’eventualità).

Impossibile per noi dire quale tra le possibili risposte al paradosso di Fermi possa essere quella corretta. Sicuramente lo spunto che propone Liu Cixin apre ulteriori fronti speculativi nella gestione del possibile contatto, facendoci sorgere più di qualche dubbio sull’opportunità di sparare nello spazio siderale comode indicazioni stradali per raggiungerci. Su questo argomento ci sono poi sterminate bibliografie e cinematografie che documentano casi in cui queste informazioni sono finite sulle plance di astronavi con intenzioni poco amichevoli.


Questo contenuto è apparso precedentemente sulla newsletter di Starcrash

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